Riflettori sulle diverse caratteristiche dei due metodi e la gestione dei sottoprodotti.

Moderne tecnologie per uno dei prodotti alimentari più antichi, ovvero l’olio di oliva, vero e proprio “oro giallo” conosciuto fin dal 4.000 avanti Cristo, quando era utilizzato come unguento o come “carburante” per le lampade, ed entrato successivamente nell’alimentazione, soprattutto a partire dal 2.500 quando i Greci diffusero ampiamente la coltivazione della specie nel Mediterraneo.
Ai lavori, promossi in collaborazione con l’Ordine dei dottori agronomi e dei dottori forestali di Grosseto e moderati da Roberto Gatti – responsabile vendite Alfa Laval per l’olio d’oliva, Italia, è intervenuto in qualità di speaker Giacomo Costagli, responsabile Centro di business Alfa Laval per l’olio d’oliva, Adriatic; hanno partecipato al meeting online anche Michele Martucci, presidente del Gruppo sansa di Assitol, e Piero Gattoni, presidente del Consorzio italiano biogas.
Le olive, dopo la raccolta a mano o con l’aiuto di abbacchiatori pneumatici, vengono trasportate in oleificio e lavorate il prima possibile, in modo da evitare l’attivazione di fenomeni di macerazione ed ossidazione che andrebbero a compromettere la qualità dell’olio extravergine prodotto. A questo punto vengono lavorate per ottenere la pasta che viene immessa in un separatore centrifugo chiamato decanter, tecnologia chiave del frantoio moderno che ha sostituito il sistema a presse e può essere a due o tre fasi.
Quali sono le principali differenze dei due metodi e quando conviene utilizzare una tecnologia piuttosto che l’altra?
Introdotta nella versione a tre fasi per la prima volta nel 1962 da Alfa Laval, questa centrifuga ha registrato numerose evoluzioni nel corso degli anni e costituisce attualmente il sistema più diffuso nei frantoi del nostro paese con una quota superiore all’80% del totale. Situazione differente invece in Spagna, dove, all’inizio degli anni ’90 è stata introdotta la soluzione tecnologica del decanter a due fasi e che oggi è utilizzato da ben il 98% delle strutture di lavorazione delle olive.
Dal punto di vista dell’aspetto esteriore, i due modelli non mostrano particolari differenze, che però diventano più significative all’interno. Molto simili dal punto di vista meccanico, le due macchine si differenziano nei passaggi finali che hanno come protagonisti l’acqua e l’olio. Il decanter a tre fasi è costituito da un tamburo, da una coclea controrotante interna, da un motore elettrico principale e da uno frenante per la regolazione dei giri della coclea interna. Il decanter permette di separare tra loro le tre componenti presenti nella pasta di olive, ognuna caratterizzata da un diverso peso specifico e di conseguenza separabile per forza centrifuga: olio, acqua di vegetazione, sansa. Il modello a due fasi prevede l’ingresso della pasta di olive da centrifugare in posizione più vicina al punto di uscita dei liquidi. La parte conica del tamburo e della rispettiva parte di coclea interna affina la separazione del solido dal liquido, mentre la parte cilindrica permette la separazione dell’olio di oliva mediante un sistema a labirinto e sifone all’altra estremità. Il sistema è detto a due fasi perché prevede da una parte l’uscita dell’olio e dall’altra quella della sansa umida.
Entrambe le tecnologie sono state interessate da un profondo processo di innovazione e miglioramento al fine di ottimizzare le prestazioni. L’elemento più importante dell’evoluzione della centrifuga a tre fasi è stato lo sviluppo di un progetto volto a ridurre sempre di più il consumo di acqua di processo. Nel decanter di Alfa Laval si registra un ampio spazio di separazione liquido-liquido che consente di operare in estrazione con un minimo quantitativo di acqua di diluizione, mediamente variabile dal 10 al 20% della pasta di oliva in entrata. Altri passaggi importanti sono stati la progettazione delle uscite dei liquidi in modo da minimizzare il loro impatto meccanico facendo in modo che l’olio si surriscaldi il meno possibile, un ridotto consumo energetico con il motore secondario controllato da un inverter, l’introduzione di sistemi di lavaggio molto efficienti a bassi giri, l’alta resistenza all’usura nelle zone di alimentazione e scarico dei solidi.
Anche per la tecnologia a due fasi, l’evoluzione si è concentrata sulle prestazioni, cioè la stabilità della chiarifica e l’efficienza di resa nell’estrazione, con un disegno specifico della coclea dove oltre alla spirale classica del decanter a tre fasi si notano altre controspirali che hanno il compito di trasportare l’olio verso l’uscita evitando le turbolenze che può generare il solido e un’altra per trasportare il solido più rapidamente verso la sua uscita. La notevole distanza tra la zona di alimentazione e lo scarico dei solidi garantisce un’ottima prestazione in termini di estrazione. Le altre caratteristiche principali sono le stesse della macchina a tre fasi.
Sigma 6 decanter
(Fonte foto: Alfa Laval)